La vita non è che un’ombra che cammina; un povero attore, che s’agita e si pavoneggia per un’ora sul palcoscenico e che poi scompare nel silenzio. È un racconto narrato da un idiota, pieno di furia e di rumore, senza alcun significato.

william_faulknerLe ombre camminano, le ombre si confondono, le ombre mescolano i contorni, mescolano i ricordi, li complicano, congiungendoli e spezzandoli, a volte ne creano di nuovi, ne cancellano altri.
Gli uomini si muovono, a volte piano, a volte incredibilmente veloci, fra memorie e semioscurità senza parlare quasi, o parlando troppo. Quattro voci, quattro punti di vista, quattro modi di descrivere la tragedia e la vita, quattro voci che girano attorno ad un solo cardine: Caddy la sorella che, immobile nei ricordi, è fuggita per sempre, veloce, Caddy la sorella che nessuno ha mai capito davvero.

Le quattro voci sono Benjamin, Quentin, Jason e Faulker stesso o chi parla per lui.

Per Benjamin la vita è un giorno soltanto, un giorno in cui si ricorda, un giorno in cui passato, presente e futuro sono lo stesso istante e hanno lo stesso volto, il volto di Caddy, perché il passato è rifugio, il futuro mancanza e il presente soltanto un’ombra e non ha importanza. Hanno importanza solo le urla sul prato che invocano una presenza cancellata, così accecante da essere insopportabile. Caddy non c’è più. E’ scappata. Eppure Caddy c’è sempre. E fa male, sempre.

Per Quentin la vita è un giorno in cui finisce tutto, il giorno in cui le ombre mangiano i ricordi e li rendono vuoti, inconsistenti, come riflessi sull’acqua. La vita è il tempo che accelera e frena, che si ferma e riparte, a seconda delle ombre e del sole, delle voci sul fiume, degli incontri inaspettati che occupano ritagli di cammino. Ci sono momenti in cui il flusso dei pensieri si blocca, quando Quentin incontra gente, parla, non pensa, non può farlo. Poi ci sono momenti in cui le foglie sugli alberi si muovono piano, in cui il sole getta ombra sulla strada e allora c’è Caddy, non c’è più il tempo, c’è soltanto l’ombra e il ricordo, ancora, ancora e ancora. E niente ha più importanza. L’amore è incesto. L’amore è bisogno di sapere che non si è soli. L’amore è qualcosa che brucia, è vergogna, è solo l’inferno che si avvicina, il peccato, nient’altro. Niente ha più importanza. Soltanto il da farsi. Una lettera nascosta. Un peso nascosto sotto il cappotto. Non dare nell’occhio, fare attenzione. E poi è solo il profumo del caprifoglio ed il gorgoglio infinito dell’acqua che nasconde il sole e le ombre e i ricordi, per sempre.

Per Jason la vita è denaro che si accumula, accumula, accumula, inutilmente, perché tanto un giorno tutto sarà rubato. La vita è il denaro che arriva e se ne va, il giudizio, la morale schiacciante, il controllo. Bisogna avere sempre il controllo di tutto. E se lo si perde, si perde tutto. Sempre.
Benjiamin è l’idiota che urla e strepita e racconta cose senza più importanza. Quentin è l’ombra che cammina, confusa, ed è già passato morente, passato che scompare nel silenzio. Jason è il ticchettio preciso di un orologio e poi l’urlo e il furore finale, la follia e il rinchiudersi in se stesso, solo, sempre più solo, per sempre solo, beffato, senza comprendere, senza alcun significato, com’è la vita.

E non importa se non c’è una spiegazione. Che importa se non si comprende, non si può comprendere, ci sono cose che restano sospese. Che importa in fondo, se tutto è ricordo e ombra, solo ombra, soltanto ombra. Un’ombra che cammina. Un povero attore che s’agita e si pavoneggia per un’ora sul palcoscenico e che poi scompare nel silenzio. È un racconto narrato da un idiota, pieno di furia e di rumore, senza alcun significato.

Dallo steccato, tra i buchi dei fiori arricciati, li vedevo giocare. Loro venivano verso la bandiera e io andavo lungo lo steccato. Luster frugava in mezzo all’erba sotto l’albero dei fiori. Loro tolsero la bandiera e colpirono la palla

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