buon-junkieOggi la recensione della prima lettura del 2017 che, purtroppo, non è stata positiva. Si tratta di Flower di Elizabeth Craft e Shea Olsen, edito Newton Compton, che la casa editrice mi ha inviato in omaggio. Mi spiace sempre dover recensire negativamente un libro, ma le ragioni che mi hanno fatto storcere il naso sono moltissime e proprio non sono riuscita a trovare qualcosa che rendesse questo romanzo almeno “sufficiente”.

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PROPRIO NO!
PROPRIO NO!

I libri possono essere brutti o belli, si sa. È quasi sempre un fattore personale quello che ci porta ad apprezzare o meno un libro. Poi ci sono valori oggettivi: grammatica sbagliata, stile legnoso, buchi di trama, personaggi inconsistenti. Flower presenta gli ultimi due difetti, ma per il resto è un racconto scritto abbastanza bene, anche se con uno stile abbastanza piatto. Insomma, se non ci fossero state altre forti motivazioni per bocciarlo, probabilmente lo avrei definito un libro non bello ma neanche un obbrobrio, insomma, non una lettura adatta a me ma che sarebbe potuta andar bene per qualcun altro. Invece…
La cosa che davvero non riesco a superare è la slealtà verso il ruolo stesso di scrittore.
Che vuol dire? Ve lo spiego.

Se c’è una cosa che non riesco a perdonare a uno scrittore, è scrivere piegandosi alle mode del momento, strizzando l’occhio a una categoria di lettori che, da indagini di marketing, si sa già apprezzeranno. Non sopporto l’idea che un autore possa decidere di incanalarsi in un genere ben preciso soltanto per vendere, ecco. Il marketing andrebbe lasciato alle Case Editrici, uno scrittore dovrebbe semplicemente scrivere la sua storia, credendoci. Probabilmente è una visione fin troppo rosea del mestiere di scrittore, ma non riesco che a vederla in questo modo. Poi, se uno scrittore è davvero bravo, riesce anche a convincere il suo pubblico che quella storia la stia scrivendo preso dal fuoco dell’ispirazione e non per pagare le bollette a fine mese.

Ma non è questo il caso.

Flower mi è sembrato un modo molto facile, per le due autrici, di entrare nelle grazie di una categoria di lettori che sta facendo la fortuna di diverse CE, ossia le ragazzine innamorate di cantanti famosi, tipo One Direction, Justin Bieber e via di seguito (mi sento una bacchettona mentre scrivo). Non si spiegherebbe altrimenti l’esistenza di un romanzo come questo che non aggiunge nulla alle migliaia di storielle scritte da sedicenni su Wattpad, alle fanfiction con protagonisti boy band e groupie fortunate, ecc.

La protagonista della storia è Charlotte, una ragazza assennata, studiosa, che lavora in un negozi di fiori (da qui il titolo), il cui unico obiettivo è quello di non fare la fine di sua nonna, sua mamma e sua sorella, tutte rimaste incinte giovanissime, tutte con la vita spezzata dall’arrivo di marmocchi inattesi. Quindi Charlotte ha deciso che non uscirà mai con un ragazzo, almeno finché non avrà raggiunto il suo obiettivo di laurearsi e crearsi un futuro. Avrei voluto anche crederci (anche se mi risulta difficile pensare a una diciottenne che fa questi discorsi), ma, come sempre accade in questo tipo di romanzi, il personaggio che ci viene presentato in maniera così precisa nelle prima pagine, scompare con l’arrivo del bello di turno, in questo caso Tate.

Tate è bello, muscoloso, misterioso, gentile ed è uno stalker, una figura che, vogliono farci credere, piace molto alle ragazzine e alle donne in generale (cfr. Christian Gray di 50 sfumate di grigio). Tate arriva sempre a fine turno di lavoro di Charlotte, quando non c’è nessuno, per chiederle insistentemente di uscire con lui, riesce a rubarle il numero di telefono non si sa come, acquista un intero negozio di fiori e glieli fa recapitare a scuola, davanti a tutti, mettendola in imbarazzo.

Insomma, l’ho odiato. Ancora di più ho odiato la solita pseudo-evoluzione della storia d’amore (presa pari pari da quel capolavoro horror che è After di Anna Todd): lui insiste per uscire con lei, la costringe quasi, la corteggia e alla fine la convince. Lei è restia, all’inizio, ma dura tre secondi: basta che lui la “sfiori con lo sguardo” e s’innamora pazzamente. A quel punto, lui si ritira perché “non vuole farle del male”. E questo tira e molla ridicolo avviene per tutte le 286 pagine del romanzo, una cosa insopportabile, una vera e propria presa in giro.

In pratica, uno dei problemi principali di questo romanzo è che la trama non esiste, come non esiste conflitto o tensione narrativa: esistono una sequenza di scene sempre uguali che non portano alcuna evoluzione, visto che i due personaggi principali non sono dotati di agency, ossia non agiscono in base a uno scopo finale, ma solo per far contente giovani lettrici in cerca di immedesimazione.

Quindi ci ritroviamo in un romanzo in cui una ragazza qualsiasi diventa l’oggetto dei desideri della star più famosa del momento (una specie di Justin Bieber, come vi ho anticipato) realizzando i desideri nascosti di migliaia e migliaia di fan. Sì, è quello che si sogna da ragazzine (Sposerò Simon Le Bon, docet), ma non necessariamente andava raccontato in maniera così banale.

Le complicazioni che dovrebbero generare  la tensione narrativa sono, in pratica, dovute alla stupidità dei due personaggi principali: Charlotte, che dimentica in un secondo i suoi sogni e la sua rigidità (proprio da brava bigotta), affascinata dalla bellezza e dalla ricchezza di Tate, s’innamora perdutamente e cerca in ogni modo di fare sesso con lui (ci prova continuamente, mi sono sentita male per lei e pure per lui… Non posso credere che le autrici non si siano rese conto di quanto fosse ridicolo), lui, nonostante la desideri con tutto se stesso, nonostante dormano anche assieme, resiste perché non vuole farle del male (boh).

Charlotte e Tate sono un accumulo di cliché, tra l’altro, anche in contrasto fra loro: Tate s’innamora di lei perché è speciale, unica, semplice e poi la porta a far shopping, dal parrucchiere dei vip e dall’estetista trasformandola, in pratica, proprio nelle donne con cui ha continuamente a che fare; Charlotte ci viene presentata come autonoma e (stupidamente) rigida e basta un abito costoso a distruggere tutte le sue convinzioni.

Il finale è ancora più assurdo e contribuisce a distruggere la già precaria stima nei confronti della protagonista che passa definitivamente da bacchettona guastafeste a groupie senza dignità.

Potrei definirlo un calco di After ma senza il sesso (la povera Charlotte vi farà pena, giuro!)

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