“Bloccare il meccanismo esterno che scatena il dolore, qualunque esso sia. Magari anche le lacrime (serbarle per l’alba, l’alba è gentile). Dicono che solo gli aristocratici sappiano comportarsi con discrezione in certi momenti, ma a me dell’aristocrazia non me ne frega niente. Però odio le sceneggiate. La sofferenza è indiscreta. In pubblico, indecorosa. L’ipersensibilità, ripugnante. Quando vedo la gente singhiozzare in televisione, perdo la pazienza. Quando dal dolore duole anche il respiro, come direbbe Miguel Hernández, taci. Taci, e vai a nasconderti.
Devastata, sì. Ma dentro.
La vita è fisica.
La morte è fisica.
Io pure.”

Il mantello, Marcela Serrano.

È un libro sul dolore, sulla morte di una sorella, un lutto terribile, talmente straziante che non esiste, come giustamente fa notare l’autrice, una parola per descriverlo.

Chi perde un genitore è orfano, chi perde il marito è vedova. “Non hanno inventato nessuna parola per una sorella rimasta senza una sorella”. (E non esiste una parola neanche per chi perde un figlio, a pensarci.)

Una lunga riflessione sul dolore, sulla perdita, sul modo personale di affrontare un lutto, un viaggio mentale (che io inizio proprio nel Giorno dei Morti) costellato di bellissime e calzanti divagazioni letterarie (ho già trovato Virginia Woolf, Roland Barthes e perfino un gatto di nome Trotzkij, che sarebbe il nome perfetto per il mio ipotetico felino nero se non avessi già scelto Plutone, il gatto nero di Poe).

Primo fugace incontro con Marcela Serrano, molto bene.

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