Non abbandonare la cura con cui regoli il tuo cuore su queste tenerezze parenti dell’autunno, di cui ricalcano la placida andatura e l’affabile agonia. L’occhio è precoce nell’avvizzire. La sofferenza conosce poche parole. Preferisci coricarti senza pesi: sognerai dell’indomani e il letto ti sarà leggero. Sognerai che la tua casa non ha più vetri. Sarai impaziente di unirti al vento, al vento che percorre un anno in una sola notte. Altri canteranno la melodiosa incarnazione, le carni che non rappresentano altro che la stregoneria della clessidra. Tu condannerai la gratitudine che si ripete. Più tardi, sarai identificato con qualche gigante in disfacimento, signore dell’impossibile.

E tuttavia.

Non hai fatto altro che aumentare il peso della tua notte. Sei tornato alla pesca di muraglie, alla canicola senza estate. Sei furibondo col tuo amore, al centro di un’intesa che sgomenta. Pensi alla casa perfetta che non vedrai mai innalzata. A quando il raccolto dell’abisso? Ma tu hai cavato gli occhi al leone. Credi di veder passare la bellezza sopra nere lavande…
Che cosa ti ha sollevato, ancora una volta, un po’ più in alto senza convincerti?
Non esiste dimora che sia pura.

René Char, Io abito un dolore

Img: Paesaggio serale con un acquedotto, Theodore Gericault

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