VLADIMIRO: Avresti dovuto essere un poeta.
ESTRAGONE: Lo sono stato. (Indica i propri cenci) Si vede, no?

Aspettando Godot, Samuel Beckett

Go, andare. Dot, punto fermo. “Vai, fermo”. La contraddizione è chiara anche nel nome.
La vita è assurda, grottesca, insensata, un’attesa inutile, a volte disperata, è frustrazione consapevole, il tempo scorre ma a nessuno viene in mente di muoversi. Agire richiederebbe uno sforzo e una consapevolezza troppo grandi.

L’attesa è la scelta comoda (e apparentemente assurda) dei due protagonisti, restare immobili a lamentarsi della vita è più semplice che rinunciare o agire. Da Aspettando Godot si può ricavare la morale che si vuole, ma la verità è che una morale non c’è. Nessun insegnamento.

L’uomo è condannato a una condizione di immobilità perpetua, anche quando s’illude di muoversi, com’è dimostrato dall’ultima frase del dramma, quando i due protagonisti hanno finalmente deciso di rinunciare e andare via. L’indicazione scenica che segue è un semplicissimo: “They do not move.”

Ma chi è alla fine Godot? Tutto e nulla. Quello che vogliamo. A questa domanda, comunque, Beckett rispose così: “Se avessi saputo chi è Godot l’avrei scritto nel copione“.

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