Torna Damiano Valente, lo Sciacallo, torna Castellaccio, l’immaginario paese del Sud nella provincia di Salerno, torna il buio. Ho letto d’un fiato il secondo thriller di Antonio Lanzetta, I figli del male, che dopo Il buio dentro si conferma autore capace di catturare e guidare il lettore nei meandri di una storia cupa e angosciante che non conosce momenti di sosta.

Titolo: I figli del male
Autore: Antonio Lanzetta
Serie: autoconclusivo, #2 serie di Damiano Valente
Genere: Thriller
Data di pubblicazione: 15 marzo 2018
Pagine: 356
Prezzo: cartaceo 15.21 € | ebook 9.99 €
Link acquisto: cartaceo | ebook

Antonio Lanzetta ci porta nuovamente in viaggio negli angoli più bui e spaventosi dell’animo umano: ancora una storia in parte raccontata dalla voce sofferente eppure ferma dello Sciacallo, Damiano Valente, scrittore diventato famoso ricostruendo i casi di cronaca nera nei suoi libri, che abbiamo imparato a conoscere nel primo volume della serie, Il buio dentro. La vita di Damiano è cambiata drasticamente dopo l’omicidio della cara amica d’infanzia Claudia e dopo l’incidente che lo fa ferito e deturpato per sempre, ma che lo ha unito a doppio filo ai suoi amici Flavio e Stefano (anche le loro storie sono protagoniste del primo volume). Con Flavio e Stefano, Valente continua ad avere a che fare, soprattutto dopo la vicenda de Il buio dentro, che li ha portati sulla pista dell’Uomo del Salice.

Occhi che guardavano nella sua direzione.
Lui vede.
Che significa?

Tre diversi piani temporali, tre storie intrecciate

Ancora una volta, le incredibili doti di perspicacia e coraggio di Damiano Valente e il suo self-control saranno messi a dura prova da una nuova e inquietante vicenda, quella che si scatena dopo il ritrovamento del cadavere di un uomo con la gola tagliata e un biglietto infilato in bocca su cui è scritto: “Lui vede”. Da questo orribile omicidio partono i fili di una ragnatela fittissima che ingloba Castellaccio, come epicentro del male, e si estende al territorio intorno varcando anche le soglie del tempo: sì, perché il male scivola come acqua e filtra dappertutto, Antonio Lanzetta ce lo ha raccontato nel primo volume e lo ribadisce ne I figli del male; tre sono i piani temporali in cui la storia si svolge, di cui i due più importanti sono quello contemporaneo,  affidato alla voce di Damiano Valente che conduce, suo malgrado, una nuova indagine in cui sono coinvolti i suoi affetti e il suo passato (Flavio, scomparso senza lasciare tracce, mentre indagava sul caso di una paziente, Roberta, che aveva in cura nella clinica psichiatrica nella quale lavora) e gli anni ’50, il dopoguerra, raccontati dalla voce di Tommaso, giovane figlio di un lattaio violento. Infine, sprazzi di luce e buio sull’adolescenza di Flavio: gli anni 80-90 sono raccontati dalla sua stessa voce.

Continuava a rivedere la faccia di quel bambino che affiorava dall’acqua. La carne ridotta a brandelli, il sangue che aveva tinto i sassi di nero.

Castellaccio, epicentro del Male

Uno degli aspetti del romanzo che più mi hanno affascinato è l’ambientazione, che ha reso la vicenda ancora più credibile: Antonio Lanzetta ha saputo integrare una vicenda macabra e cupa scavando nelle viscere di luoghi reali, ancora più di quanto aveva già stato fatto nel primo volume: Salerno, la Questura, il Lungomare, la Quiete, ecc. diventano i nodi della mappa del Male, seguire gli spostamenti dello Sciacallo, mentre ricostruisce una nuova scia di sangue e dolore, è fare un viaggio in una Salerno dalla doppia faccia: luminosa e oscura allo stesso tempo, dotata di un fascino macabro che non ha nulla da invidiare alle ambientazioni thriller d’Oltreoceano.

Il passato non si dimenticava. Mai.

Sangue, passato, amore

Sangue ce n’è tanto ma ce n’è il giusto: Antonio Lanzetta, pur raccontando una vicenda fatta di omicidi cruentissimi, dosa benissimo l’aspetto “macabro” con i tempi dedicati all’indagine. La storia si apre con una donna incinta, alla quale viene sottratto il bambino da un misterioso personaggio: il richiamo alle parole “figli” e “male” è già chiaro nel prologo ma il significato vero del titolo si comprenderà solo alla fine, dopo un lungo e complesso viaggio che porterà più volte il lettore a perdersi. Lo scopo di Antonio Lanzetta, infatti, sembra quello di aprire e chiudere porte, consentire al lettore di accendere luci e spingerlo nel buio, senza coordinate, di nuovo. Il senso di confusione, però, non porta il lettore ad abbandonare la lettura, anzi, è una miccia che accende la curiosità, perché l’autore è molto bravo a creare una confusione ordinata, a ingarbugliare fili che restano comunque ben saldi fra le sue dita. Le domande, alla fine, avranno risposte, ma solo quando il viaggio sarà davvero concluso. C’è tanto sangue, dunque, ma anche tanto passato e tanto amore: a Castellaccio il piccolo Tommaso deve sopravvivere alle angherie di un padre violento e ci riesce anche grazie all’amore di sua sorella Teresa e della sua amica Elvira. La vita di Tommaso sarà sconvolta dal ritrovamento del cadavere di un bambino, evento che cambierà profondamente la sua vita e quella delle persone che lo circondano. Sua sorella Teresa è innamorata, ricambiata, di Mimì, che abbiamo già conosciuto nel primo volume: è il nonno di Flavio, un personaggio che non si può non amare per la sua passione, nonostante le sue scelte di vita. E poi c’è Roberta, una ragazza traumatizzata che ha smesso di parlare, con la quale solo Flavio, oggi, riesce ad avere una sorta di contatto: chi è Roberta e cosa le è successo?

«A loro piace giocare.» […] «E noi vogliamo farli giocare. Con la persona sbagliata, però.»

Lo stile: affilato ed essenziale

Lo stile di Antonio Lanzetta descrive con naturalezza, senza mai eccedere: la morte è orribile, puzza e fa rivoltare le budella, come nella realtà; cinematografica quanto basta, ma sempre ancorata alla realtà, la scrittura di Antonio Lanzetta descrive una realtà che non ha bisogno di aggiunte, il buio c’è, è dovunque, è fuori e dentro di noi e coinvolge ogni aspetto dell’esistenza umana, senza risparmiare, neanche questa volta, la “sacralità” dell’infanzia.

Può mai nascere qualcosa dal male? Può il male procreare, avere dei figli, diffondersi dando la vita?
Antonio Lanzetta risponde, sottilmente, a tutte queste domande, ma per avere le risposte, bisogna avere anche il coraggio di sporcarsi le mani, affondando nel buio.

Nato a Salerno, con Warrior e Revolution, pubblicati per La Corte Editore, ha conquistato pubblico e critica, affermandosi come uno dei più talentuosi scrittori italiani della nuova generazione, con questo romanzo cambia genere, ma riconferma il suo talento.
Già vincitore del “Premio Cittadella” con il suo primo romanzo “Ulthemar – La forgia della vita”,  è sempre suo il racconto thriller Nella pioggia, del 2015, finalista al premio Gran Giallo di Cattolica e arrivato al primo posto della classifica dei racconti più venduti su ebook. Con le sue opere si è rivelato un autore capace di tenere incollati i propri lettori dalla prima all’ultima pagina grazie ad una scrittura testosteronica e adrenalinica che non potrà non entusiasmare i suoi lettori e i fan di autori come George RR Martin o Terry Brooks.

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