Ho aspettato un po’ prima di scrivere questa recensione perché finito di leggere questo libro non ero ancora sicura se mi fosse davvero piaciuto o meno.
Proverò a spiegarvi perché e se vorrete darmi le vostre impressioni, forse mi farò un’idea più precisa pure io.
Detto ciò, la conclusione è che Io prima di te è un bel romanzo, che offre diversi spunti di riflessione ma che ha anche qualche punto debole.
TRAMA
A ventisei anni Louisa Clark sa tante cose. Sa esattamente quanti passi ci sono tra la fermata dell’autobus e casa sua. Sa che le piace fare la cameriera in un locale senza troppe pretese nella piccola località turistica dove è nata e da cui non si è mai mossa, e probabilmente, nel profondo del suo cuore, sa anche di non essere davvero innamorata di Patrick, il ragazzo con cui è fidanzata da quasi sette anni. Quello che invece ignora è che sta per perdere il lavoro e che, per la prima volta, tutte le sue certezze saranno messe in discussione. A trentacinque anni Will Traynor sa che il terribile incidente di cui è rimasto vittima e che l’ha inchiodato su una sedia a rotelle gli ha tolto la voglia di vivere. Sa che niente può più essere come prima, e sa esattamente come porre fine a questa sofferenza. Quello che invece ignora è che Lou sta per irrompere prepotentemente nella sua vita portando con sé un’esplosione di giovinezza, stravaganza e abiti variopinti. Nessuno dei due, comunque, sa che la propria vita sta per cambiare per sempre.
Cose che mi sono piaciute:
1. l’ironia. Lo stile di scrittura per me é sempre fondamentale e quando c’è l’ironia vado in brodo di giuggiole. Jojo Moyes ha un umorismo inglese che trovo irresistibile, che si esprime soprattutto nei dialoghi fra Lou e Will, che sono le parti più frizzanti e interessanti del romanzo.
2. I dialoghi. Come già accennato, i dialoghi fra i vari personaggi sono la parte forte del libro. Realistici e calibrati, mi hanno subito fatto conoscere ì personaggi, facendomi entrare nella storia.
3. I personaggi. Hanno carisma, arrivano al cuore, riesci a capirli. Quelli che ho trovato meno convincenti sono Patrick, troppo caricaturale (anche se riflettendoci di gente ossessionata dallo sport ne esiste a pacchi) e i genitori e la sorella di Will, troppo stereotipati, troppo rigidamente legati ai loro personaggi (non mi piacciono i personaggi che non subiscono trasformazioni nella storia, a quel punto non metterli proprio… tipo la presenza della sorella di Will è del tutto inutile).
4. L’approccio scanzonato alla disabilità. Lo humour “nero” dell’autrice che parla per bocca di Lou o Will o del padre di Lou o di Katrina, la sorella di Lou, i personaggi più sarcastici, rende la disabilità qualcosa di socialmente accettabile, qualcosa di cui si può perfino ridere, se lo si fa nel modo giusto.
5. Will. Il personaggio meglio riuscito: è tetraplegico, la sua condizione è umiliante, triste, definitiva eppure il personaggio è tutt’altro che patetico. È incredibilmente forte, perfino figo, un principe azzurro in carrozzella, e ci dimentica che é tetraplegico, se non c’è l’autrice a ricordarcelo, di tanto in tanto. Questo ci ricorda che i disabili sono persone, non malattie.
6. La descrizione delle innumerevoli difficoltà cui va incontro chi si trova nella condizione di Will: dalle barriere architettoniche agli sguardi sfuggenti dei ND (normodotati) che tendono, per imbarazzo o per fastidio, a non parlare di disabilità, quasi come fosse un loro problema.
7. La maniera razionale e assolutamente condivisibile con cui è affrontato il tema dell’eutanasia. Non è una soluzione assoluta e non è valida per tutti (alcuni riescono a convivere con la loro disabilità, a cambiare vita e a vivere bene e l’autrice ne è consapevole) ma è una possibilità, una scelta che dev’essere resa possibile e che dovrebbe essere accettata.
«Io voglio che lui viva. […] Ma voglio che viva se è lui a desiderarlo. Se non è così, se lo costringiamo a tirare avanti, non importa quanto gli vogliamo bene: diventiamo solo degli altri stronzi che gli impediscono di fare le sue scelte.»
Cose che non mi sono piaciute:
1. Il tema abusato del personaggio sano, che non riesce a vivere e di quello morente, che lo spinge alla vita. C’è praticamente in ogni cavolo di storia di questo tipo da Love Story in poi. Il solo fatto che un’anima positiva come Lou si sia innamorata di un’anima ferita come Will, e che sia avvenuto anche il contrario, per me sarebbe bastato a dare alla storia un senso molto profondo.
2. La reazione spropositata della madre di Lou che non riesce a perdonarle il fatto di aver alla fine appoggiato Will nella sua decisione di farla finita. Signora, ho capito che la vita è sacra, ma pure decidere di non voler mai più rivedere sua figlia è un po’ esagerato, eh. Avrei capito una divergenza di opinioni, anche forte, ma non un distacco così violento e testardo.
3. Patrick. Come avevo già accennato è uno dei personaggi che mi ha convinto meno. Abbiamo capito: è un imbecille. Possibile che Jojo Moyes non potesse dargli una sfumatura in più? Cioè hai un fidanzato che è un cretino, è molto facile innamorarti di chiunque altro.
4. La vita passata di Will: parapendio,bungee jumping, immersioni, sesso a pacchi… Anche qui tema molto abusato, nel senso che si può descrivere un personaggio amante della vita anche in altri termini, un po’ più normali, magari avvicinandolo ulteriormente alla realtà.
5. Va beh, questa è una sciocchezza ma visto che torna spesso ecco: il tatuaggio come simbolo di ribellione, come inizio di una nuova vita, come unione di due spiriti affini. Quanto è vecchia ‘sta cosa.
Detto ciò confermo: è un bel libro, che sicuramente mi ha invogliato a leggere altro di quest’autrice, magari qualcosa più ironico e meno drammatico (perché a me le storie così tragiche continuano a non entusiasmarmi, anche quando sono scritte bene).
E voi, che ne pensate? Siete d’accordo o no sulla mia recensione?