Michael Lermontov, il “poeta della negazione”: un romantico ribelle, individualista, anarchico e in lotta perenne contro il sistema. Giovanissimo si fa notare per una poesia scritta alla morte di Puskin, in cui accusa lo Zar. Lo zar, in risposta, lo spedisce in Caucaso. Dopo alcuni anni, Lermontov torna, scrive, scrive tanto, ma continua ad alimentare la sua furia autodistruttiva: una serie di scandali e lo zar lo rispedisce in Caucaso. Qui, è coinvolto in un duello: muore, a soli 26 anni. Se fosse vissuto più tardi, sarebbe stato una rockstar.
Nel frattempo, però, ci lascia i suoi scritti, caratterizzati da amore ed eterna infelicità, da una solitudine sofferta ma allo stesso tempo desiderata e da una critica feroce alla società ottusa.
Il demone è un poema, uno dei più famosi poemi romantici russi. Un demone s’innamora di una principessa, pensa così di poter finalmente abbandonare il Male e trovare la pace. E invece tutto quello che ottiene è altro Male, altra solitudine.
Un eroe dei nostri tempi, la storia di un narcisista patologico. Eroe è usato in maniera ironica: niente di eroico c’è nel protagonista. Non è capace di amare, non prova empatia, l’unico sentimento che prova è la noia, che lo spinge a commettere atrocità contro il prossimo. (A tratti mi ha ricordato l’uomo del sottosuolo di Dostoevskij).
Cosa cercava Lermontov? La pace, forse. Ma sapeva ch’era irraggiungibile, perché avrebbe implicato la cancellazione di qualunque desiderio e l’uomo, in fondo, è fatto per desiderare.