978-88-541-5145-1Di Irène Némirovsky avevo già letto “Jezabel”, un romanzo straordinario, in cui il vero capolavoro è la maniera in cui l’autrice sa trattare i suoi personaggi. In Jezabel l’ossessione della madre per la giovinezza porta alla rovina la figlia e anche se stessa. Ne “Il ballo” il tema è più o meno lo stesso: la rivalità fra madre e figlia, la prima ossessionata dalla nuova posizione sociale ottenuta con l’imprevista ricchezza del marito (il tema del parvenu, che resterà sempre un “povero”, per quanti sforzi possa fare per dimostrare il contrario), la seconda ossessionata dalla voglia di “liberarsi” dal giogo familiare, di essere “adulta”, padrona delle proprie scelte. La madre ragiona in termini di spettacolarizzazione: il ballo che si appresta ad organizzare è il vero ingresso nella buona società, è la testimonianza (o il tentativo) di uscire dall’indeterminatezza per affermarsi pubblicamente. Attorno all’organizzazione meticolosa del ricevimento, con l’orchestra, il buffet, gli inviti, si sviluppa l’ossessione della donna per la propria giovinezza, trascorsa in massima parte a desiderare ciò che possiede soltanto ora che non è più giovane. Un amante, essere ammirata, cominciare a vivere: la signora Kampf desidera quello che non ha avuto quando era giovane, lo desidera così tremendamente che non ha alcuno scrupolo a perseguire il suo fine.

Antoinette segue la madre nella preparazione del ricevimento ma, con orrore, si rende conto, quando gli inviti stanno già per partire, che la sua presenza non è prevista al ballo. L’occasione che aspetta da una vita per “cominciare a vivere”, essere ammirata, innamorarsi (più o meno gli stessi desideri della madre, solo che in Antoinette sono perfettamente naturali in quanto Antoinette è giovane!) è già sfumata. Così, sola e piena di rancore, la quattordicenne si prenderà la sua subdola vendetta.

In una manciata di pagine Irène Némirovsky traccia il profilo psicologico di  due generazioni a confronto, entrambe in bilico: quella della madre, fra un’insoddisfatta giovinezza e una temuta maturità e quello della figlia, fra una soffocante infanzia e una luminosa giovinezza. I giovani vincono, perché hanno più tempo. Eppure, anche i giovani sono destinati a giungere davanti al confine spaventoso della decadenza.

978-88-541-5146-8Un classico della letteratura su cui sono state fatte un po’ troppe congetture. L’arte della guerra è un trattato militare che, se volete, si può leggere su diversi livelli, fra cui quello delle tecniche di “management”, non a caso lo si trova spesso pubblicizzato fra i “manuali per avere successo”. Ora, sicuramente “l’arte della guerra” contiene alcune incontrovertibili verità sulla strategia militare, ma probabilmente il volerlo a tutti i costi considerare il vademecum del buon leader ne sminuisce il significato.

Si tratta, infatti, di uno scritto bellissimo sull’arte di vincere una guerra e sull’arte di vivere correttamente, se vogliamo, non tanto su come essere un “vincente”.
E’ anche uno dei testi più significativi per avvicinarsi alla filosofia orientale: si apprende che tutto è collegato, che ogni cosa ha una sua reazione, che esiste una “strategia” per ogni azione umana.

In questo senso, l’arte della guerra di Sun Tzu rappresenta un vero e proprio capolavoro, anche soltanto per l’indice:

I. Valutazioni di base (Ji)
II. Conduzione del conflitto (Zuozhan)
III. Pianificazione dell’attacco (Mougong)
IV. Disposizioni (Xing)
V. La forza (Shi)
VI. Vuoti e pieni (Xushi)
VII. Manovre di eserciti (Junzheng)
VIII. Le nove variabili (Jiubian)
IX. Muovere l’esercito (Xingjun)
X. Conformazione del terreno (Dixing)
XI. I nove terreni (Jiudi)
XII. Attacco col fuoco (Huogong)
XIII. L’uso delle spie (Yongjian)

978-88-541-5147-5La conoscenza approfondita della storia e dei costumi dell’epoca non sono sufficienti per costruire un buon romanzo.
In “Il tiranno di roma” Andrea Frediani vuole a tutti i costi dimostrare di aver studiato.
Lo spunto non è malvagio, la trama poteva essere interessante, peccato ci si perda nei milioni di dettagli su strategie militari e politiche che affondano i personaggi e l’intreccio. Se poi consideriamo che i POV sono quelli di due schiavi, una schiava domestica il cui scopo nella vita è sempre stato quello di servire la sua domina e uno schiavo abituato a stare nei campi: entrambi devono aver avuto poco tempo, realisticamente, per informarsi su cosa accadeva nel Senato di Roma ai tempi di Mario e Silla. Eppure nel romanzo sembra comprendano perfettamente le strategie politiche dietro ogni azione militare.

Alla storia d’amore fra i due personaggi principali (che dovrebbe costituire l’asse portante della trama) sono dedicate una decina di righe. I due si avvicinano, si guardano, è amore, diventano amanti e poi lei muore. Il tutto senza un minimo di enfasi.

Anche il rapporto tra lo schiavo e Mario è affrontato senza alcuna passione.

Una storia fredda, senza alcuna passione per i suoi personaggi, scritta non benissimo, che si risolleva soltanto alla fine, con una chiusura a sorpresa.

9788854151505Marcello Simoni è stato, invece, una piacevole sorpresa. Non mi ispira naturalmente fiducia tutto ciò che è definito “bestseller”, ma in realtà in questo breve thriller storico, Marcello Simoni dà prova di essere un bravo scrittore. Lo stile è piacevole, la trama è semplice ma curata, come i personaggi che forse si trastullano un po’ troppo nella “spiegazione dei misteri” tipica dei gialli (lo stesso protagonista si giustifica con il lettore quando si rende conto di aver parlato un po’ troppo). Mi è piaciuto, insomma. Non so se leggerò anche altro di questo autore, ma sicuramente mi è venuta voglia di approfondire un genere che normalmente non amo, quello del thriller storico che tanto sembra andare di moda.

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