«Il castello è buio, enorme, freddo, e tu sei solo. Ma sai che c’è un’altra persona nascosta da qualche parte, senti le sue lacrime, la sua nudità. Fra le sue braccia ti aspetta la pace, il calore, e con quella speranza avanzi, eviti casse piene di ricordi che nessuno guarderà più, valigie con vestiti vecchi che qualcuno ha dimenticato o non ha voluto buttare nella spazzatura e di tanto in tanto la chiami, la tua principessa, dove sei?, dici con il corpo intirizzito dal freddo, battendo i denti, proprio in mezzo al tunnel, sorridendo nel buio, lasciandoti guidare unicamente dal bisogno che il tuo corpo ha di un altro corpo, cadendo e rialzandoti, e finalmente mi vedi e gridi. Io sono immobile e non so di che natura è il tuo grido. So solo che finalmente ci siamo incontrati, e che tu sei il principe veemente e che io sono la principessa inclemente.»
“Puttane Assassine”, da Puttane Assassine, Roberto Bolaño

Surrealismo, magia oscura, delitti, morte, distacchi, sfumature, alternanza sogno/realtà, viaggi, sesso, paure, autobiografia, sogni, polvere, rivoluzione, memorie.

Ho amato, dei 13 racconti, 4 storie in particolare, quelle segnate – molto professionalmente – da cuoricini.

“Puttane Assassine” è il racconto, sotto forma di dialogo, tra un uomo e la donna misteriosa che lo ha rimorchiato. E che lo sta torturando.

In “Foto” Arturo Belano, alter ego di Bolaño, si trova in uno sperduto villaggio africano in compagnia di un libro sui poeti di lingua francese, di cui immagina e racconta le vite, gli amori, la morte.

“Carnet di Ballo” è una sorta di biografia della poetica di Bolaño in forma di lista, in cui si parla dell’ossessione per Neruda e dell’amicizia con Jodorowski.

In “Incontro con Enrique Lihn” Bolaño va a trovare il suo mentore Enrique Lihn nella sua casa, pur sapendo che è già morto da un pezzo. 

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